DUE CHIACCHIERE A PROPOSITO DEL PERSONAL BRANDING
CASE STUDY: XXLIMITS
Cosa avranno in comune il personal branding e la logistica per eCommerce? Nicola, il tuttofare che tra un pacco ed un tracciato ci racconta l’anima dell’azienda.
Pasta, tu quante ne sai?
Se dai un’occhiata in giro lo trovi, ne sono certo. Io, ad esempio, dovrei averlo stipato in salotto dove ho montato il mese scorso la libreria Billy, quella di Ikea. Poi, per carità, se non hai voglia di cercarlo basta andare su Wikipedia e scrivere “Branding” su Google e trovi la definizione. Ma sappiamo entrambi che non basta la definizione per sapere davvero di cosa stiamo parlando. Un esempio? Cerca sul dizionario “Pasta”. Cito eh:
(Pà-sta) sostantivo femminile
Impasto lavorato di farina e acqua: sia quello lievitato con cui si fa il pane, sia quello che, lavorato in diverse forme ed essiccato, costituisce i vari tipi di p. alimentare di confezione industriale o casalinga talvolta con aggiunta di ingredienti vari.
Bene, sai cos’è la pasta. Ma come funziona? Come si cucina? Dove la trovo? Posso farla io a casa? Cosa mi serve per farla da me? Conoscere il significato di una parola o, in ogni caso, la sua definizione non è sufficiente. Soprattutto se decidi di cucinare tu, stasera.
Cos’è un Brand
Un Brand. Cos’è un Brand? Facile, guardati attorno. Ne vedrai almeno un trentina, se non di più.
Io, ad esempio, sono in azienda. Vedo Windows, Adidas, Samsung, Amuchina, Ferrarelle e la lista continua. Parliamo di prodotti. Quindi il Brand sono i prodotti? Mettiamo subito in chiaro una cosa: il Brand NON è UN PRODOTTO.
Questa è un po’ come “tutte i pollici sono dita ma non tutte le dita sono pollici”. Immagina il Brand come il tuo nome e cognome: siamo tutti persone, siamo tutti uguali e siamo tutti differenti l’uno dall’altro. Cosa ci distingue? Il nostro nome, io sono Nicola. E non ce ne sono altri.
Concretizziamo le cose:
il prodotto è, ad esempio, un computer. Un articolo che viene prodotto, assemblato e venduto da migliaia di aziende diverse. Ma sono abbastanza sicuro che, anche nella tua cerchia di familiari e amici ci sia qualcuno come Silvia, la mia collega, che non usa la parola “computer” da anni.
Per lei il computer è il “Mac”, se deve indicare/parlare/offendere il mio povero Lenovo lo chiama “quel coso”, non computer. Silvia associa in maniera imprescindibile il prodotto (computer) al Brand (Apple).
Il punto è che per Silvia, e per decine e decine di migliaia di persone, il Brand non è più un marchio che trovi stampato sul prodotto: il Brand è IL PRODOTTO.
Apple è un esempio di come il Brand possa, nel tempo, divenire il prodotto stesso. É questo che fa la differenza, venire associati così tanto ad un prodotto da divenire, alla fine, il prodotto stesso. Come la Jacuzzi. Sapevi che Jacuzzi non è un tipo particolare di vasca idromassaggio, Jacuzzi è un marchio, è una multinazionale americana. Fan fact: fondata nei primi del ‘900 da due fratelli friulani, tu lo sapevi? Io no.
Il Brand non è solo il marchio stampato o inciso su di un determinato articolo, è ciò che il pubblico associa al prodotto, come lo identifica.
Creare un Brand da zero è difficile, ma non è impossibile.
Concentrati sull’esperienza dell’utente, rendi il prodotto stesso un esperienza che susciti un emozione (come non associare il suono d’avvio del tuo vecchio PC fisso a Windows, o il “crunch” delle Pringles, il suono di una lattina di Coca-Cola quando la apri ecc..). Il Brand, in sostanza, ti definisce. Questo è quanto. Il Brand è la tua identità commerciale, il tuo nome e cognome nel mondo del business e, così come il tuo nome e cognome ti rendono riconoscibile, il tuo Brand di rende unico al mondo, inimitabile.
Almeno finché non troverai al mercato della domenica le calzette Abibas. Se accadrà non prendertela troppo, anche quello è un chiaro segnale di successo.
Fare Brand nel 2021 ha senso?
No. Senza troppi giri di parole. Fare Brand oggi, nel 2021, non ha alcun senso. Cominciamo con lo spiegare cosa voglia dire fare Brand.
Voglio creare un Brand di abbigliamento: XXLimits, abbigliamento sportivo, taglie forti. Prima cosa da chiedersi è: perché? Perché, io imprenditore, dovrei investire tempo, risorse e denaro in un progetto simile?
Hai presente il principio del Rasoio di Occam? La soluzione più semplice è, spesso, quella corretta. Applichiamola al nostro business. Individuato il mercato di riferimento, nel nostro caso l’abbigliamento, ci rimbocchiamo le maniche e lo studiamo attentamente per individuare quella nicchia di mercato che risulta scoperta o parzialmente scoperta. Fatto? Bene.
Quanto ti sembra saggio annoverare fra i tuoi competitor nomi come Nike, Gucci, Calvin Klein, Armani? Poco vero? E qui applichiamo il principio del Rasoio di Occam: la soluzione più semplice è la più efficace. Manca un Brand dedicato alle taglie forti, noi colmeremo quel gap.
Secondo step, valutiamo la domanda. Se c’è un buco nel mercato un motivo c’è sempre. Molti fanno l’errore di credersi, a prescindere, più furbi degli altri ma, se un determinato prodotto o categoria di prodotto non è presente sul mercato, di solito, un buon motivo c’è.
Solo dopo aver buttato giù un business plan convincente investiremo le nostre finanze e risorse sul questo progetto. Ci siamo, poniamo che XXLimits abbia le basi per camminare ed iniziare il lungo percorso che lo separa dal punto A (sono un prodotto) al punto B (sono il prodotto). Ora veniamo a noi, a senso fare Brand su XXLimits? A costo di ripetermi, no.
Fare “solo” Brand oggi è sconsigliatissimo, non puoi limitarti a “spammare” sui Social il tuo logo o a tappezzare una città con i classici cartelloni 70x100cm.
Hai la tua idea, perfettamente incastrata in un mercato in crescita, un target ampio, un prodotto valido con tutte le carte in regola per sfondare ma XXLimits non è nessuno. Fiat, Conad, Windows invece…bhe, direi che non hanno questa grande necessità di presentarsi.
Nessuno ti conosce e sappiamo entrambi che nascono e muoiono migliaia di Brand ogni giorno, come fai dunque a distinguerti dagli altri? Come può essere un successo se nessuno conosce XXLimits? E, mi ripeto, non ha senso che il tuo logo sia ovunque se nessuno ha idea di chi sia XXLimits.
Soluzioni? Una bella idea, guerilla marketing? Non male. Ma hai mai sentito parlare di Personal Branding? Perché, fidati, associare la parolina “personal” a Branding cambia decisamente le cose. Cambia tutto. Per XXLimits ha senso fare Brand? No. Ha senso fare Personal Branding? Assolutamente SI.
Il Personal Branding è completamente diverso dal Branding.
Il Personal Branding è, per sua stessa definizione, la strategia di marketing che pone il focus sulla persona. Si pone l’obiettivo di conferire maggiore autorità e notorietà al Brand sfruttando una “persona chiave” che interagisca e comunichi con gli utenti finali.
Non è insolito infatti che la persona diventi, a volte, più nota dello stesso Brand (conoscono tutti la Ferragni ma non tutti si ricordano il nome della tanto famigerata bottiglia d’acqua, Evian per la cronaca) o che metta a servizio la sua persona anche per altri marchi.
Spostare il focus della community dal prodotto alla persona rende lo stesso Brand più umano, familiare, complice delle quotidianità del consumatore. Non puoi pensare a Amazon senza che ti venga in mente la pelata di Jeff Besos, o ad Apple e i dolcevita intramontabili di Steve Jobs.
Altre aziende decidono di puntare alle mascotte, un po’ come le squadre di football americane. Sarà perché è quasi ora di pranzo ma mi viene in mente il McDonald, pensaci. È difficile associare a McDonald il volto di una persona, ma ti viene subito in mente quell’inquietante pagliaccio di Ronald, o la Coca Cola e il suo paffuto Babbo Natale con evidenti problemi di dipendenza dalla gassata bevanda. E Disney? Topolino, nonostante le accuse di antisemitismo, è il volto dell’azienda dagli anni ’30. Ok, non perdiamo il filo.
Fare Personal Branding nel 2021 è la scelta più corretta in quanto più in linea con i nostri tempi. Siamo nell’era delle stories su Instagram, dei video su TikTok, dove una persona con i suoi gesti, parole, idee, concetti (e, si, anche balletti) crea una community, crea un pubblico e tutto quello che serve a XXLimits è quello. Un pubblico che impari a conoscerlo, a fidarsi di lui, a tempestarlo di like e cuoricini.
Le sagge parole del Prof.
Tutto bello, tutto chiaro (spero). Ma come si fa a fare Personal Branding?
E qui si ti apre un ventaglio di possibilità. XXLimits ha bisogno di diventare reale, un po’ come nella favola di Collodi, abbiamo il nostro bel burattino: vediamo di farlo diventare un bambino vero. Ti ricordi i tempi della scuola? Il mio Prof. d’inglese si chiamava Santamaria era un gigante, almeno ai nostri occhi.
Di lui mi ricordo la regola delle 5WS: “Ragà, in generale, sempre! Quando dovete fare qualcosa o parlare di qualcosa seguite sempre la regola delle cinque doppiavù: Who, What, Where, When, Why. Chi, Cosa, Dove, Quando e Perché!” e io alzavo la mano e chiedevo “Perché?”, canzonandolo. In classe esplodeva sempre una fragorosa risata generale. E poi SBAM!!! contro la cattedra. Che ansia.
Ed ecco qua, il buon Prof. Santamaria mi ha spoilerato già nel 1999 come buttare giù un buon business plan, come evitare di dilungarmi troppo (cosa che , ahimè, non ho mai padroneggiato) ed anche come impostare una strategia di Personal Branding.
Who?
Chi è la prima delle famigerate cinque doppiavù. Come tradurla ed adattarla al nostro caso? Semplice, “Chi fa Personal Branding? Chi veicolerà il mio Brand?”. Definiamo quindi la nostra strategia partendo dal volto (o volti) di XXLimits.
il CEO/COO
modello Amazon, Apple, WWE, Tesla ed altre aziende multimilionarie. La figura chiave dell’azienda ne diviene il volto. Spesso si tratta di personalità al dir poco enormi, con un carisma naturale che li ha portati a divenire dei veri e propri giganti del settore.
Il solo fatto che Elon Musk sia… Elon Musk conferisce ulteriore legittimità ad ogni suo progetto da Tesla a Space X. Se domani il buon Elon decide di aprire un panificio, quel panificio sarà immediatamente percepito come il panificio migliore, il più rivoluzionario della storia, e questo solo perché è Elon Musk
Ma, capiamoci, non devi essere per forza un genio per adottare questo modello di comunicazione. Se voglio, ad esempio, conferire valore ad XXLimits, io, CEO/COO che sia, presento i miei attestai di partecipazioni a corsi di stampa DGT o stampa serigrafica in modo da essere percepito come uno che sa effettivamente di cosa sta parlando e, di conseguenza, come professionista del mio settore. Poi, non credo nemmeno ci sia bisogno di sottolinearlo, non è quasi mai Elon Muk a pubblicare su Twitter, ma lo strapagato team che si occupa della gestione dei suoi Social Media. Se ci arrivi anche tu a quei livelli e ti serve strapagare qualcuno fammi un fischio, il mio numero è 348965……
- Il Brand Ambassador
è letteralmente l’ambasciatore del tuo marchio. Una personalità (generalmente più o meno famosa) che ha già dalla sua una fetta di pubblico che “pende dalle sue labbra”. Nel corso degli anni sono state davvero tante le aziende che hanno deciso di attuare questa strategia. Michael Jordan e la Nike, George Clooney con Nespresso o, per citare un caso più recente, Cristiano Ronaldo con DAZN.
La figura del Brand Ambassador non deve essere necessariamente famosa, non è una legge scritta ovviamente, la cosa che invece deve essere imprescindibile è l’attinenza con il Brand.
Michael Jordan è uno sportivo, così come Cristiano Ronaldo. Nike propone abbigliamento sportivo, così come DAZN è un servizio streaming ed on-demand di contenuti a carattere agonistico.
XXLimits è abbigliamento sportivo per taglie forti e se l’idea è venuta a te, che pesi si e no sessanta chili, perdonami ma non sei proprio la persona più indicata a rappresentarlo. Ti rivolgi ad un pubblico che ha raramente acquistato un capo d’abbigliamento senza una X davanti e, no, dopo la X non c’è la S.
Io, ad esempio, sono uno da XL. Come faccio a sentirmi rappresentato da un a persona che non ha idea dell’odio interiore che ti assale quando trovi una t-shirt fantastica, bellissima e che costa pure poco! Ma hanno fino alla L… maledetti.
Scherzi a parte, l’empatia è alla base del Personal Branding e per cerarla è necessario che il tuo pubblico si riconosca in te, abbia i tuoi stessi problemi e le tue medesime difficoltà. Deve sentire che tu li capisci e che sei la risposta ai loro problemi, perché i loro problemi (per citare Toy Story) sono anche i tuoi. Se non ti ho convinto ti racconto un breve storia triste.
Francesco Cognome-Omissis è sempre stato un grande appassionato di cultura giapponese. Quando eravamo piccoli è lui che mi ha prestato il mio primo manga, il numero 15 di Dragon Ball, quello dove combatte contro Junior (o Grande Mago Piccolo per i più esperti). A vent’anni si era messo in testa di fare il tatuatore, specializzato in stile giapponese (le carpe, gli oni ecc…). Ma non si è mai fatto un tatuaggio, “mi piace farli ma non mi piace farmeli” diceva sempre.
Ha aperto lo studio a maggio del 2016, un piccolo ma ben arredato studio di una trentina di mq con tanto di parcheggio privato, cinque minuti a piedi dalla stazione. Ha chiuso 6 mesi dopo. Fine.
- Influencer
Un influencer è una persona che, grazie al suo carisma, riesce a “influenzare” il suo pubblico. Funziona in maniera relativamente semplice.
Sappiamo che XXLimits ha un suo target, cerca quindi le figure più vicine a quella fetta di pubblico che intendi attrarre. Marco89 ha diecimila followers su Instagram, una bella fetta di pubblico per una Start-Up come XXLimits. Si concorda un tariffario e Marco89 prende l’impegno di pubblicizzare il nostro prodotto nelle modalità richieste (video recensione, stories, video reaction, a seconda del tipo di prodotto). Raramente un influencer si associa ad un singolo Brand. Ad un certo tipo di prodotto si, ma ad un Brand specifico è abbastanza raro. É la formula che va più in voga ad oggi, ti assicuri una larga fetta di consensi grazie al lavoro di Personal Branding che lo stesso influencer ha già realizzato (con successo) su stesso.
Un po’ come la teoria della prossimità: se lui che è riuscito a fidelizzare diecimila utenti e consiglia, o fa uso del mio Brand, il mio Brand splenderà di luce riflessa. Ti lascio con una citazione: per Woody Allen l’80% del successo sta nel farsi vedere. E chi meglio di un influencer, che basa la propria attività proprio sul farsi vedere, fa al caso nostro?
What?
È un po’ come scrivere un racconto: abbiamo definito il nostro protagonista, ora tocca dargli qualcosa da fare. Ogni storia che si rispetti si regge su una solida trama, un percorso che il nostro eroe deve seguire.
Definiamo una strategia comunicativa in linea con il nostro Brand, XXLimits, e perseguiamola. I Social in questi anni hanno impartito una grande lezione a noi comuni mortali: semplice è la via da seguire (Rasoio di Occam? Ancora!).
I video su YouTube che fanno più visualizzazioni sono brevi, concisi e diretti. Pochi minuti, chi ha il tempo di starsene lì davanti allo smartphone? Anche se poi passiamo 25h ore al giorno con l’ I-Phone 12 in mano. I Tweet sono chiari, veloci, comunicazioni dirette al mondo.
Su Instagram fa più interazioni una foto di una ragazza che beve il thè sulla veranda che un lavoro di grafica professionale che ha richiesto ore ed ore di lavoro. La società corre veloce, abbiamo fretta e la nostra comunicazione deve essere in linea con le abitudini del consumatore. Cosa fare dunque?
Condividi brevi attimi della tua giornata, includi il tuo Brand in ogni fase di essa, sii costante, mai ripetitivo e non farti desiderare. La costanza nella comunicazione è tutto.
Non far trascorrere un solo giorno senza dire qualcosa al tuo pubblico, perché quelle stesse persone che sono troppo impegnate per leggere un contenuto che superi i cento caratteri, in uno schiocco di dita sposteranno il loro focus su altri Creator. Non lasciarli soli, sii costante. Il Signor Clooney direbbe What Else?
Where?
Tempo fa il buon Jeff Bezos ha detto “Il Branding è ciò che le persone dicono di te quando esci dalla stanza”, a me questa analogia piace tantissimo. Però voglio una farti una domanda: abbiamo il Chi, abbiamo il Cosa (fare) ma Dove lo facciamo? Da quale stanza stiamo effettivamente uscendo?
XXLimits è una Start-Up, essere presente e soprattutto costante sui Social richiede TEMPO e DENARO.
Eh si, lo scrivo in grande ed in grassetto, molti credono ancora che i Social siano gratuiti, o che ci vogliano cinque minuti per fare un post. Illusi.
Creare un contenuto, una serie di contenuti o un format richiede uno sforzo enorme. Hai modo di gestirli tu? No.
Il tuo focus, come imprenditore, deve essere un altro.
Allora vai di Social Media Menager esterno o interno all’azienda. E lei o lui che sia costa, è un costo per la tua Start Up. Che brutta parola però “costa”, sembra quasi di parlare di patate. Bene, se ragioni come me, usi quella parola solo quando sei dal fruttivendolo. La parola giusta è investimento.
Quanto sei disposto ad investire sui Social e cosa vuoi ottenere dai Social? Più è alto il tuo obbiettivo, più lo sforzo in termini economici sarà alto, adeguato all’impresa.
Investire una parte del tuo capitale nei Social fa paura, lo capisco. Ma credimi quando ti dico che anche se dovessi ottenere dei risultati minimi, sono almeno risultati. Sei perlomeno presente, esisti. Se non sei sui Social non esisti. E questa è una dura lezione da apprendere per tutti noi, imprenditori digitali o aspiranti tali.
Dove andare quindi? YouTube? Facebook? TikTok? Vediamolo assieme. Un Social Network è come un paese, ognuno parla la propria lingua. Hai presente quell’espressione stranita, quella che fece quell’agente di polizia quando a Madrid hai chiesto “Escusa! Ando estas el tacsis?”.
Gli occhi si fanno stretti, il naso sia aggrotta e la bocca si contorce in una smorfia che sa un po’ disgusto, un po’ rabbia, come dire “eeeh???” . Ecco, questo è esattamente quello che dobbiamo evitare.
Non possiamo, almeno in partenza, pretendere di essere presenti ovunque e lavorare, ovunque, in maniera quantomeno soddisfacente perché, se a Madrid si parla lo Spagnolo, non è che arrivo io e pretendo di farmi capire in dialetto teatino, ma quello stretto stretto.
Paese che vai, lingua che trovi. Social che vai, linguaggio che adotti.
Impara come si parla, a che ora si parla, che termini usare e, soprattutto, che termini non usare. Prendi spunto da chi ne sa più di te, poca ispirazione? Copia. Non ti sto dicendo di rubare il lavoro degli altri, ma lasciarsi ispirare da storie di successo è un ottimo modo per iniziare a buttar giù una buona strategia comunicativa, che si riveli poi funzionale al nostro obbiettivo. Questo perché ogni Social Media ha un modo tutto suo di essere unico, un contenuto che funziona su Facebook non è detto che ottenga risultati su Instagram, o su TikTok.
Se su Instagram vedi un tizio che con la maglietta di XXLimits che fa i pesi, un omaccione di 100 chili di solo muscoli, metti un bel piace (soprattutto se ti piacciono gli uomini stile The Rock).
Su Tweeter se scrivo “Sono un omaccione di 100 chili di solo muscoli e faccio i pesi con addosso la maglietta di XXLimits” facile che ti becchi una tempesta di commenti del tipo “e quindi?” o “Montato!!!” ,“La terra è piatta, svegliatevi”. Questo perché sono due Social molto diversi e, di conseguenza, la comunicazione avviene in maniera altrettanto diversa. Scegli il Social che più è frequentato dalla tua nicchia di mercato, studialo con attenzione e solo quando ti sentirai pronto, alza la mano e comincia a parlare.
When?
Questo è sicuramente il punto più semplice, almeno da spiegare. Quando? Sempre. Come già accennato, credo anche più di una volta, una comunicazione efficace è una comunicazione costante.
Sei stato bravissimo, XXLimits è davvero un successo, almeno nella tua testa. Hai unito tutti i puntini, collegando prodotti, competenze, contatti, clienti, mercato, tutto fantastico. Se non comunichi però resti in balia del mercato perché si, sei un imprenditore e in quanto tale, in questo preciso momento tu stai pagando.
Andiamo in chiusura con un concetto che è la base di ogni buona strategia di marketing: NON COMUNICARE è COMUNICAZIONE.
Se non interagisci con la tua community, se non sei presente sui Social, se domani, dopodomani e dopodomani ancora non comunichi sappi che stai comunque facendo comunicazione. Non credo ci sia un modo gentile per dirlo: stai comunicando che non te ne frega nulla, magari non è così ma è quello che la tua community percepisce. E noi non vogliamo questo, vero?
Why?
Perché fare Personal Branding? Argomentare la quinta ed ultima delle nostre doppiavù credo sia inutile.
O meglio, se hai ancora dubbi sul perché farlo, perché ad oggi è così importante far bere quel maledetto caffè a Clooney e perché i diecimila followers del buon Marco89 siano vitali, allora ho fallito.
Non era mia intenzione buttare giù una “guida omnicomprensiva” di tutti i concetti visibili ed invisibili del Branding, o del Personal Branding. Guardati dai sedicenti esperti che con un e-book da 20 paginette ti vendono la grande soluzione ai tuoi problemi o che, con un corso di 30 video da 3 minuti l’uno, “trasformi il tuo fatturato da 10K a 10000K”. Non hanno la soluzione, non hanno la verità assoluta, non esiste la verità assoluta.
Esiste informarsi, studiare, conoscere, interagire e faticare, soprattutto faticare.
Prendi tutto il possibile da chiunque. Tutto questo, ad esempio, nasce da un incontro con un amico al bar, niente di che, giusto un aperitivo e, non chiedermi come, siamo finiti a parlare della famigerata regola 5WS. Perché? Ah non lo so, non ho idea di come ci siamo arrivati. Ma mi è servito come base per buttare giù questo articolo. Anche questo serve, tutto ti serve, tutto può divenire argilla nelle tue mani, ti basta plasmarla nel modo giusto.
Perché? Perché questo è Personal Branding.